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ARTE DELL’ESTREMO ORIENTE

Per arte dell’Estremo Oriente si intende la produzione di manufatti di quella zona dell’Asia che comprende Cina, Corea e Giappone.

La strepitosa vicenda artistica e culturale di questi paesi è ancora in larga parte ignota al pubblico occidentale anche se di recente si assiste ad un aumento dell’interesse del pubblico per l’arte orientale in seguito a diversi fattori:
 - eccezionali ritrovamenti archeologici che danno inconfutabili prove dell’altissimo livello qualitativo raggiunto dall’arte a quelle latitudini;
 - mostre ed eventi culturali che trattano argomenti fino a pochi decenni fa poco divulgati come le stampe giapponesi o l’arte africana;
-
una maggior predisposizione del pubblico a viaggiare e quindi a venire in contatto con culture che nessuno ci ha mai fatto studiare a scuola;
- non ultimo, un certo tipo di moda nell’arredamento.

La parte del leone in questa area la fa indubbiamente la Cina la quale ha dato inizio al proprio percorso artistico in epoca preistorica ed ha dato vita ad una cultura raffinatissima che almeno fino a prima del Risorgimento era superiore a quella occidentale non solo dal punto di vista artistico ma anche dal punto di vista tecnologico. Non è un caso che lungo la Via della Seta prima e le navi poi, in Occidente siano sempre arrivati prodotti e oggetti d’arte che da noi non erano possibile produrre: seta, tè, ceramiche e lacche sopra ogni cosa.

Il Giappone, pur avendo sempre tratto ispirazione dall’arte cinese che veniva considerata un esempio, ha saputo interpretarla con tale originalità e maestria da superare spesso i maestri cinesi e comunque a sviluppare uno stile proprio. L’essenzialità dell’arte giapponese e la passione per l’asimmetria sono concetti artistici che hanno fortemente influenzato e ancora continuano ad influenzare l’arte moderna europea ed il design.

La Corea, di gran lunga la regione la cui storia artistica è stata meno studiata, oltre a fare da ponte per il Giappone delle arti cinesi, ha saputo distinguersi soprattutto nelle insuperate ceramiche celadon.

Nella comprensione della pittura le difficoltà insorgono particolarmente per via della sua natura non specifica, e per il fatto che la pittura orientale è rivolta, assai più di quella occidentale, al fornire una chiave di lettura agli stati d’animo e ai sentimenti. Parimenti la pittura è rivolta a svelare particolari aspetti di una realtà profondamente soggettiva che tanto l’artista quanto l’osservatore sono virtualmente incapaci di esprimere a parole. Il fatto poi che il percorso artistico di un pittore ha un’evoluzione lentissima e magicamente rituale conferisce tanto al pittore quanto al calligrafo un’aura remota e spirituale, che richiede all’osservatore un pari atteggiamento di calma interiore, di contemplatività e di rispetto.

Minori difficoltà si presentano nell’apprendimento e nella comprensione delle maggior parte delle altre discipline, laddove i problemi tecnici presentati dai mezzi e dai materiali sono comuni agli stessi utilizzati in gran parte della terra. Tra questi mi sovviene un’unica eccezione, costituita dalle lacche, un tipico prodotto di queste aree, che spinse gli artigiani a esprimersi con motivi del tutto particolari e portò all’introduzione di tutta una varietà di materiali e tecniche peculiari e unici di questo mezzo.

Mentre le tecniche utilizzate nella lavorazione delle lacche in una regione avrebbe potuto essere, come furono, utilizzate anche nelle altre, ciascuna delle tre regioni venne sviluppando un proprio stile specifico. In Cina, ad esempio, si diffuse più di ogni altra la tecnica dell’incisione, anche se il suo sviluppo fu relativamente tardo. Persino l’uso di intarsi in madreperla, nel quale i Cinesi erano straordinariamente abili, occupava presso di loro il secondo posto, mentre i coreani svilupparono tali tecniche di intarsio in modo considerevole nel periodo Koryo. I Cinesi erano perfettamente a conoscenza del significato dei termini giapponesi maki-e e takamaki-e – e di tanto in tanto fecero ricorso a queste tecniche – ma furono i Giapponesi a portarle al massimo della perfezione talché sono immediatamente riconoscibili come l’espressione unica del carattere del Giappone veramente stupefacente per l’affinamento tecnico e per l’originalità del disegno.

Si è generalmente propensi ad associare la stampa con matrici di legno in modo particolare al Giappone, cosa abbastanza ovvia dal momento che la produzione, iniziata con una certa continuità solo nel tardo diciassettesimo secolo, ivi raggiunse dimensioni maggiori che in Cina, ove peraltro ne venne messa a punta la tecnica. Le stampe giapponesi tuttavia raggiunsero la massima perfezione solo agli inizi del diciannovesimo secolo, ad opera di maestri quali Hokusai, Hiroshige, Utamaro e Kuniyoshi, quando a seguito dell’apertura del Giappone verso l’Occidente cominciarono ad affluire in Europa quelle stampe che meravigliavano per la varietà dei colori e per le sfumature dei toni. E’ quest’epoca che risale il japonisme, la forte influenza che l’arte giapponese ebbe su molti artisti del tempo, Van Gogh per primo.

Mentre nei tempi antichi i Cinesi primeggiavano nella lavorazione del bronzo, la maestria e la qualità dei loro prodotti venne meno in tempi meno remoti, venendo superati tanto dai Giapponesi quanto dai Coreani, dai primi soprattutto durante il periodo Edo, quando gli artigiani del settore rivolsero le loro capacità creative verso la decorazione piuttosto che verso la produzione di equipaggiamenti funzionali per i guerrieri samurai. Con la loro abilità tecnica e la loro originalissima sensibilità per il disegno, che era veramente raffinato, produssero oggetti la cui bellezza e perfezione non venne mai eguagliata dai contemporanei Cinesi.

Per i Cinesi però il mezzo privilegiato al quale hanno sempre dato un ruolo di rilevo è la ceramica. Non è un caso che in inglese la parola china significhi ceramica. Naturalmente mentre la terracotta fu la prima a trovare impiego, non tardò ad espandersi il potenziale rappresentato dalla ceramica, e già verso la fine del terzo secolo dopo Cristo costituì una produzione alquanto apprezzata. I forni usati già ai tempi dei Tang, nell’ottavo e nel sono secolo, erano altamente perfezionati, al punto da rendere possibile il raggiungimento di temperature dell’ordine dei 1300°C indispensabili per la produzione della porcellana bianca d’alta qualità di quel periodo. Da quel tempo in poi l’interesse si accentrò sulle lavorazioni ad alta temperatura, qualunque fosse il colore del corpo e dell’invetriatura.

La materia trattata con una delicata invetriatura verde, comunemente detta celadon, venne molto ricercata, non solo dai Cinesi ma anche dagli stranieri, più resistente e di miglior qualità di tutto il resto della produzione contemporanea, e di conseguenza venne diffusamente esportata, trovando una considerevole risonanza nella produzione sia coreana che giapponese.

Già molto prima della fine del nono secolo i Coreani producevano bellissimo vasellame in ceramica grigio-scura. Verso la fine decimo secolo vennero in contatto col meglio della produzione dei primi celadon cinesi, il vasellame Yue, e ne ebbero l’immediata ispirazione a produrre una propria varietà. Non fu loro difficile dato che, per motivi geologici, in Corea le materie prime erano quasi sempre le stesse di quelle dell’attuale provincia dello Zhejiang, zona di produzione del vasellame Yue. La loro tecnica di fornace era piuttosto affidata al caso, ciò nondimeno il meglio della loro produzione fu in grado di rivaleggiare, se non addirittura di superare, il vasellame della Cina settentrionale dell’undicesimo e del dodicesimo secolo. I vasi coreani tuttavia avevano un’impronta del tutto particolare, differente da quella cinese. E quantunque avessero assorbito alcune delle forme, delle decorazioni e delle tecniche decorative cinesi, pare ponessero una grande attenzione in quest’ultime e nell’uso del colore; introdussero così l’uso di intarsi bianchi e neri, mai attuati nelle manifatture cinesi, così come si specializzarono nell’uso del rosso-rame, tecnica che più tardi consentì loro di esprimersi in modo spettacolare nel vasellame a corpo bianco.

I Giapponesi invece, che agli inizi erano rimasti fermi al vasellame in argilla non invetriata, in seguito esordirono con le pregevoli terrecotte della cultura Jomon e Haniwa. Il vasellame Yue cinese tuttavia non tardò a stimolarne l’uso dell’invetriatura ad alta temperatura. In realtà i Giapponesi, una volta appresa la tecnica, non parvero tanto interessarsi a questo tipo di colorazione quanto approfondire lo studio della varietà delle forme, rivolgendo solo gradualmente la loro attenzione alle possibilità decorative costituite dall’invetriatura. Può riuscire sorprendente il loro ritardo nello sviluppare la produzione di porcellane a corpo bianco ad alta temperatura di cottura, che infatti ebbe luogo nel diciannovesimo secolo. Una volta giunti a padroneggiare la tecnica, infatti, misero a punto una tipologia di stili decorativi di considerevole bellezza e sobrietà sotto l’influsso congiunto del vasellame cinese e della richiesta della committenza olandese, in ciò sostenuti dalla loro esclusiva capacità di trattare la superficie.

L’arte vetraria inizialmente appresa dai Cinesi, venne in seguito accantonata, per riemergere sporadicamente nel tempo, generalmente in seguito ai contatti con popolazioni dell’Asia occidentale. Fu solo nel diciottesimo secolo che i Cinesi la svilupparono in ogni genere di forma artistica, i migliori esemplari delle quali spesso risultarono quelli di tipo a più strati su un colore forte di fondo del corpo principale del vaso, che veniva poi ricoperto con uno strato bianco opaco a sua volta intagliato fino al corpo principale con una grande ricchezza e varietà di motivi ornamentali. Alcuni tipi erano pure intagliati e incisi in vetro a tinta unita, come pure dorati.

Il problema di una precisa definizione delle tre culture risulta di facile soluzione per la scultura buddista, che raggiunse un considerevole livello di maturità artistica dapprima nella Cina del tardo sesto secolo, al tempo in cui Coreani e Giapponesi iniziarono la loro conversione a questa religione d’origine indiana. Durante la dinastia Tang le sculture buddiste cinesi avevano ben poco a che spartire con l’arte indiana, anche se, ovviamente, l’iconografia indiana era diffusamente invalsa. Le figure in bronzo dorato, e soprattutto quelle piccole usate sugli altari domestici tanto in Cina che in Corea, non sono sempre facili da distinguere a prima vista. Le statue in pietra presentano meno problemi, così  come quelle lignee di maggiori dimensioni. La grande persecuzione di cui venne fatto oggetto il Buddismo in Cina nell’845 d.C. ebbe come risultato che d’allora in poi il meglio della scultura buddista si sviluppò in Giappone, dove sopravvisse lo stile Tang, così adottato nel settimo e nell’ottavo secolo. Naturalmente col passare del tempo si fece sempre più elaborato e decorativo allontanandosi lentamente dallo stile dei primi secoli quando le distinzioni erano spesso assai poco evidenti.

Per quanto concerne i tessuti, siano essi lavorati a telaio o a ricamo, tali problemi si presentano abbastanza raramente, sia per ragioni tecniche sia per le considerevoli differenze nei concetti decorativi sotto il profilo tecnico i Cinesi, almeno in principio, furono di gran lunga i più progrediti. Ai tempi degli Han non solo erano già in grado di produrre tipi di tessitura molto complessi, ma altresì di realizzare sete policrome estremamente complicate a cinque o sette colori e con iscrizioni inserite nel disegno. Furono proprio i Cinesi a sviluppare ad un livello eccezionale la tecnica di tappezzerie in seta, originaria dell’Asia centrale intorno al sesto secolo e quindi diffusa alle regioni circostanti. Erano altresì alquanto diffusi tessuti in canape e cotone, realizzati con una grande quantità di tecniche, tra le quali molto comuni l’annodatura e la tintura, alle quali i Giapponesi aggiunsero l’uso delle tinture a riserva. Pare che l’oro sia sempre stato tenuto in grande considerazione e utilizzato in vesti e drappeggi riservati all’aristocrazia e agli imperatori, così come rientrava nelle tradizioni artigianali dei più ricchi e potenti ordini monastici.

In Cina, ed ancor più in Giappone, il clero spesso fungeva da intermediario nelle grandi operazioni finanziarie. A tal proposito è bene mettere in risalto il fatto che in Oriente gli ordini religiosi ebbero un ruolo vitale nella diffusione delle materie prime che delle idee non solo della regione ove avevano sede, ma in tutto il territorio geografico che gravitata sulla loro zona. Gli stretti legami artistici intercorrenti tra la Cina, il Giappone e la Corea in relazione alle tecniche, alle forme decorative e agli stili utilizzati sono dovuti almeno tanto alla religione comune quanto alla capacità e all’energia dei mercanti, che avevano tutto l’interesse a far conoscere al di fuori dei confini dei propri paesi i prodotti delle loro attività artistiche.

Roberto Cornacchia

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